Renato Filippelli

dai fatti al web

Amici

Umberto Galeota

Umberto Galeota

Umberto Galeota
Il poeta qui ritratto in un disegno di Meconio, Umberto Galeota, fu un poeta napoletano, che io ebbi modo di conoscere nel salotto che egli aveva aperto agli amici e agli estimatori in via Mazzoccolo, all’Arenella. Aveva già scritto, quando io presi a frequentarlo, i suoi libri migliori, come “Colloqui con mia madre”, dove il solo elemento negativo è certo residuo di dannunzianesimo spiegabile in gran parte con l’amicizia personale che lo legava al Pescarese. A mio avviso l’opera che meglio rappresenta la sua sensibilità trepida e reattiva, tipicamente napoletana, è scritta nel dialetto di Napoli e si intitola “La processione del SS. Sacramento nell’ospedale psichiatrico ‘Leonardo Bianchi’”
Nell’opera sono introdotti a parlare, come nell’antologia di Spoon River, gli stessi protagonisti che sono creature travolte dalla tempesta della follia. Ecco come si esprime uno di essi, accennando alla propria infermità:

i’ facevo ‘a pusteggia p’’e e ccantine
addo’ e’sciaquante vevono int’arciula
‘o tterzigno ca’ fricceca int’’e vvene.
Po venette a malora int’’e ccervelle,
chella che veve vino e sputa sangue;
e i’ sputo sangue, e vino nunne vevo

Umberto Galeota fu anche un combattente decorato di medaglia d’argento nella famosa battaglia di Lero, dove resistette, con il suo battaglione, ai tedeschi.

Enzo Striano

Enzo Striano

Enzo Striano
E’ stato uno dei miei migliori amici. Napoletano purosangue, ha scritto un romanzo che, inizialmente ignorato dalla critica e dal pubblico, si è venuto affermando come una testimonianza fra le più insigni di quel particolare talento narrativo, che è il talento degli scrittori napoletani. Questo romanzo, poi trasferito sugli schermi cinematografici, è “Il resto di niente”, la cui materia è tratta dalle vicende dlla storia napoletana al tempo in cui nacque la Repubblica Partenopea, destinata ad una fine tragica. Nel libro si muovono personaggi a tutto tondo, come Eleonora Pimentel de Fonseca, morta impiccata per ordine dei Borboni sulla Piazza del Mercato a Napoli. Il romanzo di Striano è anche un prezioso documento di abilità stilistica, giacchè in esso la lingua culta si mescola al dialetto profondo della plebe napoletana. Io ho frequentato assiduamente questo scrittore, e mi vanto di essere stato fra i primi a riconoscere i meriti del romanzo di cui parlavo. Autore anche di originali antologie per le scuole di ogni ordine e grado, Striano morì ad appena sessant’anni per infarto.

Domenico Rea

Domenico Rea

Domenico Rea
Scrittore di Nocera Inferiore, trapiantatosi a Napoli negli anni del neorealismo, si distinse fra gli amici del sodalizio per l’originalità dell’immaginazione e per la barocca ricchezza del linguaggio, che sicuramente aveva derivato dal capolavoro di Giovan Battista Basile “Locunto delli Cunti” ovvero “Trattenimiento delli piccerilli”: Dotato di uno spirito ironico che stupiva gli amici e i semplici lettori, un giorno, mentre eravamo a tavola per una cena organizzata da un comune amico, uscì in questa battuta misoginica: “un uomo che dopo trenta anni di matrimonio cerca ancora rapporti sessuali con la moglie non può che essere un depravato”.

Corrado Govoni

Corrado Govoni

Corrado Govoni
E’ stato una delle mie prime conoscenze di prestigio della letteratura italiana. Nel 1959 mi recai a fargli visita nella modesta casa che abitava in Via di Trasone a Roma. Fui accolto con squisita signorilità e umana simpatia. Lesse con attenzione le poesie che sottoponevo al suo giudizio e disse che alcune di esse erano “perfettissime per contenuto e per forma”. A termine della consversazione, che toccò vari argomenti, mi regalò una copia del suo libro di poesie intitolato “Aladino”, in cui evocava con strazio paterno la figura del figlio trucidato dai tedeschi alle fosse Ardeatine.
La lettera dalla quale ho stralciato quella frase così gratificante per me sarà riportata in questo sito.

Libero de Libero
E’ stato uno dei più apprezzati poeti dello specchio mondadoriano. A onor del vero, i riconoscimenti più significativi li ha avuti dopo la sua morte, nonostante che alcune delle sue opere, fra le quali spicca la raccolta “Banchetto”, fossero ai limiti del capolavoro. Lo conobbi e lo frequentai per qualche tempo a Roma dove egli abitava in via del Perugino. Ricordo che una sera mi invitò a cena. Andammo in un vicino ristorante e ci accordammo sull’opportunità di scegliere del pesce. Quando il cameriere ci mostrò un grosso cefalo che sembrava ancora vivo, egli domandò con aria sorniona: “Ma è un pesce serio?”
De Libero aveva il dono dell’arguzia ed era un ottimo parlatore capace di animare una serata conviviale come pochi altri scrittori. Sarebbe troppo lungo illustrare qui le cause della rottura che intervenne nella nostra amicizia. Voglio solo dire che De Libero aveva un carattere straordinariamente difficile, permaloso e reattivo.


Marco Ramperti
Fu un giornalista della migliore acqua, conteso dalle maggiori testate del primo Novecento. Era maestro nell’arte dell’elzeviro, che richiede, come è noto, capacità di sintesi concettuale e levità di forma. Centinaia furono i suoi interventi sulle terze pagine dei giornali; ma egli va pure ricordato come autore di un romanzo di grande finezza: “Suor Evelina dalle bianche braccia”.

Mario Pomilio

Mario Pomilio

Mario Pomilio
L’ho avuto di frequente ospite, con la moglie Dora, nella mia casa di Scauri. Era un uomo di singolare delicatezza nel tratto e nel modo di esprimersi. Abruzzese di Orsogna, si era perfettamente integrato nella società culturale napoletana, entrando a far parte con Domenico Rea, Luigi Compagnone, Raffaele La Capria del gruppo formatosi intorno alla rivista “Le ragioni narrative”. Pomilio è fra i miei amici perduti, uno dei più accarezzati dalla mia memoria. Più volte egli si occupò delle mie poesie scrivendo su giornali e riviste articoli di singolare acutezza interpretativa.

Benedetto Croce
Il ritratto di Benedetto Croce che qui si vede mi fu donato, con dedica affettuosa, da sua figlia Silvia, la quale mi ha onorato della sua amicizia e della sua stima.

Michele Prisco

Michele Prisco

Michele Prisco
Nativo di Torre Annunziata, che egli nel suo primo libro di racconti definì “La provincia addormentata”, mi ha gratificato della sua amicizia coerente e affettuosa. Si è occupato della mia poesia ed io ho ricambiato inserendolo nella storia della letteratura, di cui siamo autori io e mia figlia Fiammetta.
Fra i suoi romanzi, quasi tutti editi da Rizzoli, hanno un particolare rilievo “La dama di piazza” “Fuochi a mare”, “Gli ermellini neri”  e “I giorni della conchiglia”. Raffinato ed elegante, anche perchè supportato da una lucida coscienza dello stile, come moderno recupero della migliore tradizione ottocentesca, Michele Prisco è ormai fra le glorie consacrate della letteratura napoletana. Anch’egli è stato mio ospite, e più volte abbiamo partecipato insieme a convegni e a tavole rotonde, come quella organizzata su Mario Pomilio dall’Università “Suor Orsola Benincasa”, dove ho insegnato per oltre un trentennio.

Raffaele Nogaro

Raffaele Nogaro

Sua Eminenza Raffaele Nogaro

Raffaele Nogaro è stato fra i primi ad incoraggiare la pubblicazione dei miei versi di ispirazione religiosa. Appena uscito da una lunga esperienza ospedaliera, mi recai da lui e gli feci ascoltare alcune delle mie ultime liriche che lo lasciarono sorpreso e commosso. Nogaro, che ora è un vescovo in pensione, è una delle figure sacerdotali più intense che io abbia conosciuto. Convinto che il cristianesimo fosse militanza civile, oltre che adesione morale, è stato al centro di tutte le iniziative che in Terra di Lavoro si sono susseguite per ripristinare la giustizia calpestata da alcuni arroganti detentori del potere politico, il vescovo non ha mai esitato ad affontarli, rischiando più volte i rimproveri delle gerarchie ecclesiali, che forse hanno inteso punirlo negandogli la porpora cardinalizia.
Laureato in Lettere egli è anche uno scrittore forbito ed elegante, come può rilevarsi da una recensione fatta per il mio libro di versi “Plenilunio nella palude”, che si può leggere in questo sito. Più volte egli ha detto di pregare per la mia salute, ed io sono certo che le sue parole siano arrivate non solo al mio cuore ma anche a quello di Dio.
Riporto qui una breve lirica che si legge in “Plenilunio nella palude”:

Dai al vescovo Nogaro…
Il fiato del cammino al Golgota,
dove tu pendi,
negro crocifisso.
E a me il perdono
di non averlo seguito
al ghetto infame di Villa Literno.

La lirica si ispira all’appassionato impegno di Raffaele Nogaro a favore degli uomini di colore, emarginati da una società che ha perduto il senso della solidarietà umana. Ricordo una frase del mio amico: “Per fortuna, Gesù è più importante della Chiesa”.

Salvatore Cerino

Salvatore Cerino

Salvatore Cerino

Napoletano a tutto tondo, Cerino ha scritto quasi tutte le sue opere nel dialetto della sua città, inventando un dialetto icastico e musicale nello stesso tempo. La sua principale fonte ispirativa è la zona di Mergellina, alla quale dedicò il suo primo di versi, lodato da lettori come E.A. Mario e Libero Bovio. Negli anni della maturità si volse alla poesia di impegno etico civile, deninciando i mali sociali di Napoli e le inadempienze delle varie amministrazioni comunali. Anche trattando questa materia, generalmente refrattaria alla poesia, Cerino riuscì a salvare le ragioni della poesia come rappresentazione fantastica e come confessione di stati d’animo. Siamo stati per anni buoni amici. A volte abbiamo percorso in lungo e in largo la Napoli degli anni Settanta invasa da un traffico caotico, che minacciava di morte i due sodali e soprattutto lui, Salvatore, che camminava declamando i suoi versi tenendo alte le braccia come un antico sacerdote o come un profeta del Vecchio Testamento.
Don Salvatore morì nel 1992; l’amministrazione comunale di Napoli il 12 luglio 2000 stabilì che fosse posta una lapide marmorea su una facciata della casa che egli aveva abitato negli ultimi anni. La lapide reca 4 versi di una delle liriche più librate fra la natura e la dimensione del divino:

“Tutt’ o criato
è n’armunia che canta!
Mentr’io ncantato
saglio ncielo e sento”

Delle sue figlie, Grazia, può dirsi figlia d’arte, avendo scritto e pubblicato alcuni testi di delicata poesia.

Fernando Figurelli

Fernando Figurelli

Fernando Figurelli

Fernando Figurelli è stato fra i maestri che hanno avuto come prima guida Benedetto Croce. Figurelli studiò all’Università di Napoli, fu allievo di Francesco Torraca, frequentò assiduamente la casa che Benedetto Croce aveva aperto ai giovani talenti. Il suo primo saggio, che suscitò vasti consensi ma anche vivaci polemiche, fu da Figurelli dedicato a Giacomo Leopardi, con il titolo “Leopardi poeta dell’idillio”. Seguirono altri testi
sul Petrarca e su altri grandi della letteratura italiana e straniera. Io sono stato suo assistente all’Università “Suor Orsola Beninncasa” di Napoli, ed ora posso vantarmi di essere stato fra i suoi allievi prediletti. Dopo aver letto il mio testo di poesie, “Ritratto da nascondere”, volle farsene prefatore, e mi dedicò un saggio di 16 pagine nelle quali l’acribìa del critico si fonde con una sincera adesione umana al messaggio di quei miei
versi giovanili.

Fernando Salsano

Fernando Salsano

Fernando Salsano

E’, innanzitutto, un dantologo straordinariamente abile nel risolvere i nodi della difficile esegesi dantesca. Credo che fra gli interpreti della Commedia pochi abbiano rivelato, fino ad oggi, l’acume e l’acribìa che fanno prezioso un libro come “La coda di Minosse”, senza contare le varie centinaia di “voci” curate per l’Enciclopedia dantesca. Salsano è anche un raffinato elzevirista, al modo dei vecchi giornalisti-narratori, i quali da pochi elementi traevano racconti a lor modo perfetti, ancorchè di corto respiro. Critico letterario ufficiale, per molti anni, dell’Osservatore Romano, ha scritto numerose recensioni per testi di varia natura.
Ha anche insegnato in diverse università italiane.
Quattro interventi ha dedicato ai miei testi di poesia e alla storia della letteratura da me composta in collaborazione con mia figlia Fiammetta. Alla poesia è giunto tardi, ma i risultati sono apparsi eccellenti, sia nel testo “Lettere ai nipoti”, tutto trepido di delicata partecipazione umana, sia nel più recente volume “Prima di perderci” apparso, per l’editore napoletano Simone, in una collana da me personalmente diretta. La scrittura poetica di Salsano si distingue per la semplicità e l’eleganza del linguaggio, che brucia ogni scoria letteraria e mette allo scoperto una sensibilità pronta e gentile. Siamo amici da oltre vent’anni, e spesso ci comunichiamo per telefono le nostre opinioni su uomini e cose della letteratura contemporanea.
Salsano sa essere anche caustico, secondo l’antica tradizione della sua terra d’origine, che è Cava dei Tirreni, in quel di Salerno, ma più spesso esprime una sorta di benevola ironia. Ha più di novant’anni, e vive fra centinaia di libri e testimonianze del suo prezioso impegno letterario. Abita una quieta casa romana; ha gli occhi assorti, freschi come quelli di un ragazzo, nonostante la fatica delle prolungate letture.
E’ divenuto tutto bianco come un mago di antica fiaba o come un profeta biblico.

Emerico Giachery

Emerico Giachery

Emerico Giachery
Non credo di sbilanciarmi più di tanto, affermando che Giachery rimane ancora oggi uno dei maggiori critici letterari italiani. Certamente egli è il più fine, per intrinseca capacità di auscultazione della vibrazione poetica nei vari testi da lui presi in esame. Libri memorabili da lui scritti durante la sua carriera universitaria, conclusasi a Roma - Tor Vergata, sono un saggio su Ungaretti, un testo fondamentale intitolato “Verga e D’Annunzio”, “Ungaretti verticale”, in collaborazione con Noemi Paolini, la dolce Noemi sua consorte nel senso più strettamente etimologico della parola. Altre opere da ricordare sono il saggio su Belli poeta di Roma “Tra Carnevale e Quaresima”, “Abotare poeticamente la terra”, “Ungaretti a voce alta”.
Nella pagina conclusiva di quest’ultimo lavoro, Giachery scrive “un viandante carico di stagioni e di parole, pellegrino in cerca di luce, per professione interprete comunicante di poesia e null’altro, cosa mai può fare con un suo libro? Soltanto parlare a pochi amici - se possibile anche ai giovani sempre amati nei lunghi anni di insegnamento - di esperienze, di temi che gli sono sembrati positivi, nutrienti per l’anima, che hanno arricchito la vita di gioia, di bellezza e di possibile senso. Parlarne con amore, con molto amore, sperando che di questo amore qualche traccia resti fra le righe”.
Caro grande Emerico, forse non saprai mai con quanto orgoglio, durante i cinquant’anni del nostro rapporto, mi sono vantato della tua amicizia e della tua stima.

Lascia un commento

You must be logged in to post a comment.