Eterna amica - Ravera
Smaltito il disagio, proveniente, forse, dalle prime pagine, che possano sembrare troppo dense e fitte, il lettore di questo romanzo s’inoltra sempre più decisamente nella vicenda; ne ammira lo svolgimento, governato da una raffinata intelligenza architettonica, capace di controllare una materia magmatica e sfuggente, per evidenziare anche i minuti dettagli con un gusto della ricognizione psicologica, che ha radici letterarie lontane, ma conquista spazi di assoluta modernità. Insomma, via via che entra nel dinamismo della vicenda narrata, il lettore avverte i riverberi del capolavoro. Si tratta di un capo d’opera realizzato per tre quarti con gli strumenti della tecnica di scrittori italiani e stranieri, pervenuti al massimo possibile di scarnificazione anti-letteraria. Eppure, gli elementi che formarono, sul finire dell’Ottocento, i capolavori ancora capaci di coinvolgerci, sono presenti in quest’opera, per certi aspetti monumentale. Essi sono il disegno nitidissimo dei personaggi, la scioltezza di un linguaggio, che se non disdegna qualche concessione al trivio, resta nel complesso docile al controllo di una mente equilibrata e signorile.
Altri elementi qualificanti sono gli squarci paesaggistici presenti nelle pagine, mirabili davvero, che descrivono il grigiore di Parigi, dove Sergio, che è fra i personaggi principali, si aggira come una larva sperduta, dopo un lungo periodo di carcere ingiustamente inflittogli. Notevole anche la sapidità dell’impianto dialogico, che emerge soprattutto dai dialoghi fra Norma, protagonista principale, e il figlio. Ma v’è dell’altro: il romanzo di Ravera è una summa di vari tipi di narrativa. Ad esempio, è anche un romanzo giallo, che tiene sospeso il fiato del lettore, ansioso di conoscere il nome del vero assassino della giovine e scanzonata Martina.
Certo, non si può negare l’impressione di coralità che viene da questo libro di 409 pagine, scandite in tre parti ben coese e forse destinate ad alleggerire il travaglio respiratorio dell’opera. V’è tuttavia un personaggio egèmone, Norma, che sovrasta il coro, distinguendosi per energia di carattere, tenacia combattiva e un sostanziale attaccamento alla tragicommedia della vita. Si tratta di un personaggio che la scrittrice deve aver particolarmente amato, e che è per molti versi autobiografico. Intanto, sul piano fisico, per eleganza di forme (l’eleganza delle false magre) si somigliano come due gocce d’acqua.
Per tornare alle caratteristiche della prosa del libro, in pari tempo tormentoso e affascinante, ci sovviene questa affermazione del critico Giuseppe Antonio Borgese in riferimento al romanzo giovanile di Alberto Moravia, Gli indifferenti: “Qui la parola non spicca per conto suo nella frase: la frase non molleggia le anche; si sente un respiro sano e continuo, un pennellare ampio e deciso, qui è vera prosia”. Concludiamo augurando a questo libro, se già non gli è toccata, la stessa fortuna dell’ altro romanzo di Lidia Ravera: un romanzo al quale l’autrice diede per titolo la sconcertante invenzione ossimorica di Porci con le ali.
Marina di Minturno, ottobre 2009
Renato Filippelli
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